Cass, i sezione civile, sentenza n. 23240 dell’8.11.11
Un tenente della Guardia di Finanza aveva proposto ricorso alla Corte d’Appello, chiedendo la condanna del Ministro della Giustizia al pagamento di un’equa riparazione per i danni derivati dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo penale, nel quale egli era stato imputato e per il quale aveva asseritamente subito danni alla carriera, danni di natura biologica, morale ed esistenziale. La Corte d’Appello aveva accertato che il processo penale era durato, in due gradi di giudizio, 15 anni e 11 mesi, nel contempo giudicando che si sarebbe dovuto concludere in cinque anni. La Corte riconobbe che durante il processo l’attore non aveva potuto ricoprire incarichi operativi e pertanto non poteva aspirare a incarichi e gradi che suppongono il previo svolgimento di particolari funzioni, riconoscendo di conseguenza un danno patrimoniale valutato in Euro 15.000,00. La Corte riconobbe altresì il danno non patrimoniale, comprensivo del danno esistenziale, liquidandolo in Euro 50.000,00. Contro siffatta decisione il tenente propose ricorso per Cassazione vedendosi accolte le relative motivazioni, con nuovo rinvio alla Corte d’Appello.
Riassunto il giudizio, la Corte territoriale dispose consulenza tecnica d’ufficio preordinata ad accertare se e quali danni patrimoniali, “a causa della durata del processo che lo aveva interessato, avesse subito il ricorrente nella sua carriera ”.
Con decreto depositato nel 2008, la Corte d’appello ha condannato il Ministro della Giustizia a corrispondere al tenente la somma di Euro 274.878,86, oltre gli interessi, affermando che il consulente tecnico d’ufficio aveva accertato che il tenente era stato danneggiato dal prolungamento del processo e a tale conclusione è pervenuto valutando che, nel periodo di ingiustificata protrazione del processo, egli non ha potuto essere promosso Maggiore, non potendo quindi assumere un comando che gli avrebbe permesso l’ulteriore progressione in carriera. Contro tale decreto il Ministro della Giustizia ha proposto ricorso per Cassazione, dove viene accolto il primo dei tre motivi formulati. Gli ermellini rammentano il proprio costante orientamento in tema di divieto di reformatio in peius: il giudice dell’impugnazione, confermando la pronuncia impugnata, può anche d’ufficio, correggerne, modificarne o integrarne la motivazione, a condizione che siffatta modifica non concerna statuizioni adottate dal giudice di grado inferiore, non impugnate dalla parte interessata. Nel caso di specie è stato enunciato il principio secondo cui, in caso di annullamento con rinvio di una pronuncia, i poteri del giudice di rinvio, in ragione del segno dispositivo dell’impugnazione, vanno determinati con riferimento all’iniziativa delle parti, con la conseguenza che senza impugnazione incidentale ad opera della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del giudice del rinvio non può essere più sfavorevole, verso la parte che ha impugnato, di quanto non sia stata la pronuncia impugnata, e non può quindi dare luogo alla sua reformatio in peius in danno di quest’ultima.
Pertanto la decisione è stata cassata, restando inalterato il giudicato nella parte in cui ha riconosciuto al tenente l’indennizzo di Euro 50.000,00, a titolo di danno non patrimoniale, nonché l’indennizzo di Euro 15.000,00, oltre gli interessi dalla data della domanda di equa riparazione e fino al saldo.