Tribunale di como, gip, decisione del 20.8.11
L’accertamento dell’imputabilità, da oggi, passa anche al vaglio delle indagini neuroscientifiche e morfologiche sul cervello e sul suo patrimonio genetico, che si affiancano con sempre maggiore pregnanza alla metodica psichiatrica tradizionale.
Decisa rivalutazione, dunque, per l’imaging cerebrale e la genetica molecolare: preziosi strumenti di cui il consulente medico-legale potrà avvalersi al fine di impostare un giudizio che risponda ai canoni di “personalizzazione” della risposta punitiva. Ricorrendo alle specifiche metodiche scientifiche messe a punto dagli studiosi, diviene in effetti possibile disegnare una mappatura dello stato psichico dell’imputato, che ne rifletta non solo l’effettiva capacità di intendere e volere posseduta all’atto di commettere il delitto, ma che sia idonea – ed è questa la novità che si vuole rimarcare – a mettere in luce in che misura il dato genetico possa aver influito sulla perpetrazione dell’atto criminale. Su questa impostazione, si è collocata la pronuncia deliberata nel maggio 2011 dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale Penale di Como, resa nota e ascesa agli onori della ribalta alla fine dell’agosto del medesimo anno. A mezzo della citata sentenza, non proprio senza precedenti, il Giudice, nella forma del rito abbreviato, ha condannato alla pena di venti anni di reclusione una giovane donna imputata e riconosciuta colpevole di aver ucciso la sorella quarantenne. I resti ormai carbonizzati del povero corpo sono stati rinvenuti solamente due mesi dopo l’esecuzione del macabro omicidio. La criminale, che in quel periodo era persona indagata, tentò inoltre di uccidere, mediante strangolamento, anche sua madre e di distruggerne il cadavere con le medesime incendiare modalità.
Nel caso di specie, sono state impiegate tecniche di neuro imaging cerebrale e studi di genetica molecolare che hanno dimostrato come, nella giovane omicida, sia stato possibile attuare una precisa correlazione tra anomalie di certe aree sensibili del cervello (anormale densità della sostanza grigia del cingolo anteriore) e comportamenti aggressivi, unitamente alla presenza di tre alleli (particolari tipologie di geni) in grado di predisporre il soggetto a porre in essere comportamenti antisociali, ovvero assolutamente aggressivi. L’introduzione di tale metodiche in processo è stata attuata mediante l’impiego degli articoli 187 e 189 c.p.p..
In virtù di quanto sino ad ora esposto, può ritenersi che queste moderne tecnologie scientifiche stiano inevitabilmente influenzando il codice penale,decretando non solo la piena affermazione della scienza in ambito processuale, con le sue moderne ed innovative metodiche, ma anche la necessità di rivisitare un codice penale che ha esordito negli anni ‘30, sotto l’influsso dell’allora scienza positivistica.
Il futuro delle scienze penalistiche prospetta ai suoi cultori nuovi orizzonti sinora del tutto inesplorati. La sentenza in analisi, dunque, apre le porte a riflessioni più ampie, centrate su una rilettura in chiave scientifico-genetica della nozione di imputabilità. Così, se è vero che la risposta penale trova necessaria applicazione ove il delitto risulti perpetrato dal reo che sia pienamente capace d’intendere e volere secondo i parametri codicistici e che abbia agito nell’esercizio del libero arbitrio, allora il vaglio di tale capacità (da correlarsi alla nozione di responsabilità penale) diverrà segmento basilare del processo penale. Di conseguo, sarà nelle cause di esclusione della predetta capacità, che occorrerà condurre l’indagine processuale difensiva, volta ad accertare se – ed in che limiti – l’atto criminale commesso dall’imputato, sia a questi rimproverabile. La questione si sposta, dunque, sul piano dell’incapacità: principale fattore di interferenza sull’imputabilità del soggetto. E’ in tale contesto che, prima della pronuncia in analisi, s’innestava altresì la nota sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Trieste n. 5/09, cui si riconosce il merito di aver acceso i riflettori sull’ipotesi processuale legata alla presenza, in alcuni criminali, di particolari alleli (forme alternative di un gene) “colpevoli” di influenzare negativamente l’autocontrollo dell’individuo, maggiormente soggetto – se posto in contesti ambientali sfavorevoli – a reazioni impulsivo-aggressive. Ecco che la neuroscienza si appresta a divenire un rilevante strumento di indagine della mens rea, da condursi anche alla stregua della biologia dell’encefalo, radicata sullo studio dei geni indicati come potenziali fattori scatenanti dell’aggressività umana. E se, come è stato sostenuto dagli studiosi, è sufficiente la presenza di un solo allele negativo per “favorire” la condotta antisociale del criminale, il Gip comasco non poteva giungere a conclusioni difformi da quelle formulate, essendo ben tre gli alleli “incriminati” riscontrati nell’imputata.